mercoledì 24 marzo 2010

La festa vip

Bisogna dire che al club Papillon sanno fare le cose davvero in grande, lo stesso invito alla festa, per esempio, carta di lusso, di un certo peso, lucida ma patinata, con la foto di cinque ragazze nude, le parti intime coperte solo dalla scritta “SERATA VIP” e sopra di loro, a campeggiare su tutto, il simbolo del club Papillon: due tette enormi su sfondo rosa, l'avrà sicuramente disegnato lo stesso che ha fatto l'insegna dell'officina “pimp my ape”. La mia ape, con quella sì che avrei fatto un'entrata degna della serata e non come quella che ho fatto, arrivando con un mezzo noleggiato, un monopattino. Non potevo permettermi altro, devo risparmiare per far aggiustare l'ape. Anche il buttafuori è in gran spolvero, ha pure il tirapugni delle serate di gala, quello con gli swarovski; mi saluta con un grugnito amichevole, non mi apre la porta, ho le chiavi. La cameriera mi indica il tavolo con un colpo di tette e colpisce per sbaglio un avventore, non avevo mai visto uno felice di essersi rotto il naso; è il mio solito tavolo, quello sotto la pedana, talmente attaccato che una volta mi sono trovato anche io cento euro nelle mutande. Mi guardo in giro e già pregusto la consumazione obbligatoria ma capisco che ho interpretato male l'invito quando la cameriera mi chiede “prendi qualcosa?”, “te!”, “Mi dispiace, qui serviamo solo alcolici”; ecco perché il barista mi sorrideva ed il padrone del locale si è fregato le mani al mio arrivo. Aspetto la mia solita birra pagata, per l'occasione, venticinque euro, addio specchietti panoramici sulla mia ape; ricomincio a guardarmi in giro riprendendo da dove mi ero interrotto, come al solito, per divagare e lo vedo, seduto al tavolo dietro il mio, sorseggia un tamarindo e gin; è una faccia conosciuta, devo averlo già visto lì, anche se sembra diverso, muove nervosamente le mani ma quello, di solito, lo fa comunque, solo, sotto il tavolo. No, sono gli occhi, ha qualcosa nello sguardo, qualcosa che riconosco bene: il vacuo terrore che solo un uomo può avergli instillato, Frate Gigiorso! Certo, ad ulteriore conferma ci sono le impronte delle dita stampate sulle guance, quelle non lasciano più dubbi. I ricordi mi allagano il cervello rischiando di far affogare le donnine nude che ci vivono; ho avuto a che fare con Frate Gigiorso due anni fa, fu una brutta storia di computer, videochat a pagamento e casalinghe cinquantenni. Avevo un problema, io pensavo fosse la connessione a singhiozzo ed invece era dipendenza da internet; chiesi aiuto agli “internetdipendenti anonimi”, si incontravano tutti i giovedì, il fatto che gli incontri fossero in una room di Second Life non mi convinceva molto; poi trovai un opuscolo nella mia parrocchia. C'ero entrato perché avevo forato e mi serviva una croce per fare leva, il crick non era previsto nelle dotazioni dell'ape; l'opuscolo illustrava il “corso di disintossicazione da computer” tenuto da Frate Gigiorso; il prossimo incontro era quella sera stessa, stavo per lasciar perdere quando mi ricordai che solo due giorni prima mi avevano beccato in trance, davanti al pc, nudo con in mano un grembiule per le pulizie ed un piumino per la polvere; decisi che avevo bisogno di un aiuto: dovevo prendere un aspirapolvere, e poi decisi che sarei andato all'incontro. Si svolgeva tutto nella sala attigua alla parrocchia, prima veniva utilizzata come obitorio poi i cadaveri si erano lamentati per il freddo ed erano stati spostati altrove ed adesso veniva utilizzato per i gruppi di auto aiuto: i “dipendenti da internet”, gli “schiacciapalline convulsi di fogli da imballaggio con le palline”, i “maniaci del 'mi pare'” ed altri gruppi così. Il corridoio non era molto largo, ricordo che mi si consumarono le maniche della giacca e stavo camminando di lato; al soffitto quattro lampadine che emanavano una luce troppo forte, ne svitai tre per fare atmosfera. Mi chiedevo cosa avessero i cadaveri da lamentarsi quando sentii un vento ghiacciato alle spalle come se quel dannato posto avesse una corsia preferenziale dall'artico. Arrivai in una stanza con delle sedie in circolo, fui guardato male, era l'incontro del gruppo “sedie che si credono poltrone” ed ero arrivato nel bel mezzo della confessione di una sedia di paglia che diceva di essersi rovinata spendendo tutto in pomate per la pelle perché si credeva una Frau. Quel posto faceva strani scherzi, forse per colpa del vento gelido, forse per colpa della luce, forse per colpa dello spazio angusto, oppure per colpa della puzza immonda che sentivo e che si faceva sempre più forte, era alle mie spalle. Dietro di me un omino piccolo, magro da fare schifo, coi capelli lunghi fino al collo, radi, sporchi e grigi con addosso un saio marrone che non vedeva l'acqua da prima che io nascessi e che copriva a malapena dei piedi scalzi, lerci e puzzolenti: Frate Gigiorso, ne ero sicuro, nessuno mi aveva parlato di lui, nessuno me lo aveva descritto ma io sapevo che il sant'uomo era lui. La prima cosa che mi disse, guardandomi bonario, fu: “Chissei? Sei Vito? Sei Mario? Sei Gian Gino?”, “E chicazz'è Gian G...” SBAM SBAM e caddi come corpo morto cade.

7 commenti:

Sarah ha detto...

Si vede che te n'ha date poche...
p.s. Spettacolare (anche se non so se te lo meriti?!).

berry write ha detto...

"mi serviva una croce per fare leva.." ahahahahahaha!!!!!
GRANDISssSSSsssSIMO POST ;)

albafucens ha detto...

splendido racconto ^ ___ ^

se continui a scrivere così bene però va a finire che a me viene la Baoldipendenza, e temo al pensiero del corso che dovrei seguire per disintossicarmi

un abbraccio

Baol ha detto...

@ Maraptica: Ah, non me lo merito eh?!...

@ berry: Grazie compare ;)

@ albafucens: Eh, non ce ne sono corsi: è incurabile :P

albafucens ha detto...

vorrà dire che mi rassegnerò a leggerti :D

Sarah ha detto...

Eh? Dici a me? ;)

berry write ha detto...

Prrrrrrrrrrr!!!